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Ostia, un caso su cui riflettere

Ostia è stata nuovamente teatro di una manifestazione contro le mafie e lo squadrismo, promotori Federazione Nazionale della Stampa e Libera. È la terza nel giro di una settimana dopo il pestaggio dell’ inviato di Nemo (Raidue) Daniele Piervincenzi a opera di Roberto Spada, dell’omonimo clan, poi finito in carcere. Sullo sfondo il ballottaggio di domenica che vedrà opposti la candidata dei M5S Giuliana Di Pillo e quella di Fratelli d’Italia Monica Picca, voto che avverrà in una Ostia blindata con addirittura l’impiego dell’Esercito.

Tira una brutta aria in questo Paese: i segnali di questa estate, quando l’ondata xenofoba invase i social e non soltanto, si sono estesi e sedimentati. L’aggressione di Ostia, per il contesto in cui è avvenuta, non è soltanto una minaccia alla libertà d’ informazione, è ancor più la dimostrazione evidente di come interi territori siano ormai nel controllo della criminalità organizzata con una netta diversificazione fra Nord e Centro-Sud. Nel primo caso, vedi processo Aemilia si stanno delineando con chiarezza le contiguità e le storture del sistema economico-finanziario ormai largamente inquinato dall’iniziativa mafiosa. Nel secondo, invece, siamo all’occupazione militare di larghe zone dove la manovalanza criminale sfrutta l’assenza dello Stato e impone un pesante tributo ai cittadini già sfibrati dalla crisi decennale.

Anche volendo attribuire a una mancanza di coordinamento e di prospettiva unitaria il fatto che non si sia riusciti a organizzare un’unica grande manifestazione contro le mafie, resta il fatto che questo procedere a ranghi sparsi e divisi certifica una mancanza di analisi comune della situazione e un indebolimento del fronte democratico.
Mafie, neofascismo squadrista e precarizzazione delle condizioni di vita sono in realtà facce dello stesso processo involutivo della democrazia in Italia. Nell’ultimo decennio è avvenuto un salto qualitativo che i radar dell’informazione, con le dovute eccezioni ovviamente, non hanno registrato o non hanno decifrato nell’esatta portata. Se da una parte si sono rinsaldati vincoli sempre esistiti ma in forma più labile, fra capitalismo selvaggio e mafie (che in comune hanno l’rricchimento a ogni costo), dall’altro la precarizzazione dei lavoratori (anche quelli dell’informazione) ha sfibrato i corpi intermedi privando i cittadini di rappresentanza diffusa e ha compresso ancor più un sistema di diritti che il ventennio precedente aveva già provveduto a intaccare abbondantemente.

Questo vale in particolare per il mondo dei media dove la crisi, che sarebbe lungo analizzare, ha espulso dalle redazioni migliaia di professionisti, sostituendoli con altrettanti ragazzi sottopagati, mal formati e spesso mandati allo sbaraglio. Se sommate queste condizioni di lavoro alla scarsa, per usare un eufemismo, cultura dell’informazione da sempre evidente in Italia e alla più generale caduta del senso di solidarietà sociale e alla scomparsa delle identità collettive, capirete come il mix sia un viatico a soluzioni autoritarie.

Le mafie, da sempre attente a inserirsi nei processi degenerativi per lucrare, hanno così rafforzato la loro presenza su due versanti: l’accumulazione capitalista, legale o meno in questo caso fa poca differenza, e il controllo militare dei territori. Ma non basta, il risorgente neofascismo, storicamente intersecatosi con i fenomeni criminali (vedi per citare un caso di scuola la Banda della Magliana) veleggia con in poppa il vento del populismo destrorso che si incarica di indicare bersagli esterni alle dinamiche economiche e di potere (immigrati, minoranze ecc.) costruendo una narrazione autoritaria che sorregge e difende il perimetro del neoliberismo imperante. A fronte di questo lo schieramento opposto manca di una visione moderna e unitaria dei fenomeni, quindi di una strategia che coniughi un’opposizione sociale con i processi di affrancamento e liberazione dal dominio della criminalità. Insomma, siamo molto vicini, o forse siamo già immersi, in un’altra notte della Repubblica.

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