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Chi era Giovanni Falcone e chi lo voleva morto?

Che Giovanni Falcone sia morto molte volte prima di quel 23 maggio di venticinque anni fa ce lo siamo già detti. Ci siamo detti, per buttarla in letteratura, che si muore di solitudine: e Falcone era un uomo solo.
Ma si muore anche circondati da affetti, sguardi, incoraggiamenti se ciascuno di quegli incoraggiamenti serve solo a farti sapere che sei diverso, inimitabile, destinato a stupirci, a redimerci, a salvarci. Si muore per troppa gloria in vita, quando ti fabbricano addosso l’armatura dell’eroe e poi quell’armatura si rivela carta stagnola, e il tuo eroismo ricorda i personaggi sconfitti di Soriano, tristi, solitari y final…

Si muore perfino quando si sopravvive, come capitò a Falcone l’estate dell’Addaura, una borsa di candelotti di dinamite per far saltare in aria il giudice a casa sua, sulla riva del suo mare. Ricordo perfettamente i pensieri mormorati, sussurrati, lasciati liberi di galleggiare tra i discorsi di circostanza dopo lo sventato attentato: “Fu lui, se la mise lui la bomba, protagonista perfino nel trasformare la tragedia in commedia…”. Pensieri miserabili ma concreti, articolati non da assassini bensì da purissimi esegeti della lotta alla mafia, da infaticabili analisti del sangue altrui. Mi sono chiesto in questi anni quanti lividi lascino addosso quei pensieri, quanta mortificazione nella carne e nell’anima, quanti presentimenti di morte, morte vera, per ogni lode finta, per ogni applauso stonato, per ogni sospetto infame.

Si muore quando il Csm è chiamato a discutere della tua vita, della tua carriera, dei tuoi meriti e li traduce in numeri, decimali, virgole per dimostrare a se stesso che altri meritano, non tu, il posto di capo dell’ufficio istruzione. Ho riletto gli interventi del Csm, i più insospettabili: tutti inappuntabili a rigor di logica burocratica. Ma grotteschi proprio perché si trattava di Giovanni Falcone, della sua storia, della sua statura di giudice.

Non si muore, certo, ma nemmeno si vive o si resuscita quando da Roma organizzano una piccola crociera per andare a trovare Falcone il giorno del suo anniversario. La chiamano “nave della legalità”, sarà piena di ragazzini festanti con magliette bianche e le immagini del mare di Sicilia negli occhi. Costerà molti denari (ma provvederanno uffici pubblici e generosi) e trasformerà i venticinque anni dalla strage in una lunga gita fuori porta. Lasciando ai vivi intatte tutte le domande senza risposta che ci accompagnano da un quarto di secolo: chi volle quella morte assieme a Cosa Nostra? Chi ne agevolò il cammino? Chi ci ha rapinati di mille verità su Capaci e i suoi caduti?

di Claudio Fava
Scrittore, vice Presidente della Commissione parlamentare antimafia

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