‘ndrangheta, arrestato dopo 23 anni Giuseppe Giorgi: «U capra»

SAN LUCA(Reggio Calabria) – È finita venerdì mattina, dopo 23 anni, la latitanza di Giuseppe Giorgi, 56 anni, detto «U capra», esponente di primissimo piano del clan Romeo (I Stacchi), di San Luca. «Bravi, mi avete preso». Queste le prime parole che l’ex superlatitante ha indirizzato ai carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria e ai Cacciatori di Calabria che lo aveva sorpreso in un bunker costruito dentro la sua abitazione, un palazzone di tre piani, dimora della famiglia Romeo.

Il video della cattura

Il rifugio, in muratura, con accesso tramite botola a scorrimento mediante un sofisticato congegno, era stato ricavato al di sopra di un camino, posto all’interno della cucina. Giorgi al momento dell’arresto era disarmato. Nel corso della perquisizione i carabinieri hanno scoperto, nascosti dietro una parete e sistemate in buste sigillate, 156.900 euro che sono state sequestrate. Dopo un abbraccio alle due figlie di 26 e 28 anni, che si sono lasciate andare a scene di disperazione, Giuseppe Giorgi è stato accompagnato in carcere a Reggio Calabria.

Genero di Sebastiano Romeo, l’ex superlatitante deve scontare una condanna definitiva a 28 anni di carcere per traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Giorgi era tra i 5 super ricercati italiani, dopo che nel 1994 si era reso latitante sfuggendo all’operazione «Sorgente», condotta dalla polizia su un vasto traffico di droga e che aveva interessato altre regioni italiane. Il pentito Francesco Fonti aveva puntato il dito contro Giuseppe Giorgi, indicandolo come uno degli artefici dello smaltimento dei rifiuti tossici e radioattivi nel Mediterraneo. Giorgi, secondo il pentito, avrebbe fatto arrivare le navi cariche di rifiuti e poi avrebbe gestito il loro affondamento. Per molto tempo gli inquirenti hanno sospettato che Giuseppe Giorgi si nascondesse in Germania, dove poteva contare sull’appoggio di molti paesani. Il blitz nella notte di giovedì, improvviso, non gli ha lasciato scampo. L’ex superlatitante, certamente, non si aspettava di trovarsi davanti i carabinieri sicuro che la sua presenza a San Luca non fosse stata notata.

Chi era Giovanni Falcone e chi lo voleva morto?

Che Giovanni Falcone sia morto molte volte prima di quel 23 maggio di venticinque anni fa ce lo siamo già detti. Ci siamo detti, per buttarla in letteratura, che si muore di solitudine: e Falcone era un uomo solo.
Ma si muore anche circondati da affetti, sguardi, incoraggiamenti se ciascuno di quegli incoraggiamenti serve solo a farti sapere che sei diverso, inimitabile, destinato a stupirci, a redimerci, a salvarci. Si muore per troppa gloria in vita, quando ti fabbricano addosso l’armatura dell’eroe e poi quell’armatura si rivela carta stagnola, e il tuo eroismo ricorda i personaggi sconfitti di Soriano, tristi, solitari y final…

Si muore perfino quando si sopravvive, come capitò a Falcone l’estate dell’Addaura, una borsa di candelotti di dinamite per far saltare in aria il giudice a casa sua, sulla riva del suo mare. Ricordo perfettamente i pensieri mormorati, sussurrati, lasciati liberi di galleggiare tra i discorsi di circostanza dopo lo sventato attentato: “Fu lui, se la mise lui la bomba, protagonista perfino nel trasformare la tragedia in commedia…”. Pensieri miserabili ma concreti, articolati non da assassini bensì da purissimi esegeti della lotta alla mafia, da infaticabili analisti del sangue altrui. Mi sono chiesto in questi anni quanti lividi lascino addosso quei pensieri, quanta mortificazione nella carne e nell’anima, quanti presentimenti di morte, morte vera, per ogni lode finta, per ogni applauso stonato, per ogni sospetto infame.

Si muore quando il Csm è chiamato a discutere della tua vita, della tua carriera, dei tuoi meriti e li traduce in numeri, decimali, virgole per dimostrare a se stesso che altri meritano, non tu, il posto di capo dell’ufficio istruzione. Ho riletto gli interventi del Csm, i più insospettabili: tutti inappuntabili a rigor di logica burocratica. Ma grotteschi proprio perché si trattava di Giovanni Falcone, della sua storia, della sua statura di giudice.

Non si muore, certo, ma nemmeno si vive o si resuscita quando da Roma organizzano una piccola crociera per andare a trovare Falcone il giorno del suo anniversario. La chiamano “nave della legalità”, sarà piena di ragazzini festanti con magliette bianche e le immagini del mare di Sicilia negli occhi. Costerà molti denari (ma provvederanno uffici pubblici e generosi) e trasformerà i venticinque anni dalla strage in una lunga gita fuori porta. Lasciando ai vivi intatte tutte le domande senza risposta che ci accompagnano da un quarto di secolo: chi volle quella morte assieme a Cosa Nostra? Chi ne agevolò il cammino? Chi ci ha rapinati di mille verità su Capaci e i suoi caduti?

di Claudio Fava
Scrittore, vice Presidente della Commissione parlamentare antimafia

Il Presidente del Senato Pietro Grasso ricorda Falcone e Borsellino

Il presidente del Senato Pietro Grasso pubblica un nuovo libro, “Storie di sangue, amici e fantasmi” (Feltrinelli). E’ l’occasione per tornare a ragionare sulle stragi palermitane di venticinque anni fa, quelle in cui morirono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. All’epoca Grasso combatteva la mafia da magistrato. Oggi è la seconda carica dello Stato. “Bisogna smitizzare Falcone e Borsellino, non presentarli ai giovani come eroi. Erano sicuramente dei fuoriclasse, ma nella quotidianità erano anche persone normali, che si impegnavano e facevano il proprio dovere. Quello che dovrebbe fare ognuno di noi”.

Intervista di Attilio Bolzoni e Salvo Palazzolo

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Fnsi e Odg parte civile al processo per le minacce a Federica Angeli

«Continueremo a scortare le croniste e i cronisti minacciati: questa volta siamo al fianco di Federica Angeli». Il presidente, Giuseppe Giulietti, e il segretario generale della Fnsi, Raffaele Lorusso, esprimono così la soddisfazione per la decisione del Tribunale di Roma di accogliere la richiesta di costituzione di parte civile della Federazione Nazionale della Stampa Italiana e del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti nel processo che vede imputato Armando Spada, dell’omonimo clan mafioso di Ostia, e Paolo Papagni, esponente del potente sindacato balneari del litorale romano, accusati di tentata violenza privata e minacce nei confronti della cronista Federica Angeli.

La giornalista, sotto scorta dal 2013 per le sue indagini sull’occupazione mafiosa del litorale, era presente in aula questa mattina insieme al presidente della Fnsi, Giuseppe Giulietti, al vicesegretario Paolo Butturini e al consigliere nazionale ed ex presidente dell’Odg, Enzo Iacopino.

«Ringraziamo gli avvocati Maurizio Calò e Luca Rampioni – affermano Giulietti e Lorusso nella nota della Fnsi – che assieme all’avvocato di Libera Giulio Vasaturo (per l’Odg) hanno curato la costituzione di parte civile. Dopo il processo di Ragusa per le minacce al collega Paolo Borrometi, si è aperta una nuova stagione in cui il sindacato dei giornalisti intende riaffermare la tutela dei cronisti minacciati, ma anche il diritto dei cittadini a essere correttamente informati. Le mafie sono una delle più pericolose degenerazioni del tessuto civile del nostro Paese. Compito dell’informazione è realizzare inchieste e servizi che svelino le trame e gli affari della criminalità organizzata, come ha fatto Federica Angeli e quotidianamente fanno tutte le colleghe e colleghi in prima linea sul fronte della lotta per riaffermare le regole della democrazia e del diritto».

La relazione dell’on. Batti alla commissione parlamentare sulle Ecomafie

La Commissione, nell’ambito della sua attività istituzionale, così come definita dalla legge 7 gennaio 2014, n. 1, è chiamata “a fare luce sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti” ma anche a “individuare le connessioni tra le attività illecite nel settore dei rifiuti e altre attività economiche”, le “attività illecite connesse al traffico illecito transfrontaliero dei rifiuti”, a verificare l’eventuale sussistenza di comportamenti illeciti “da parte della pubblica amministrazione centrale e periferica e dei soggetti pubblici o privati operanti nella gestione del ciclo dei rifiuti”, nella gestione dei siti inquinati nel territorio nazionale e nelle attività di bonifica, nella gestione dei rifiuti radioattivi, nella gestione degli impianti di depurazione delle acque nonché dello smaltimento dei fanghi e dei reflui provenienti da tali impianti e nella gestione dei rifiuti pericolosi. Il perimetro di queste attività – nell’esercizio dei poteri previsti dall’articolo 82 della Costituzione e dalla legge istitutiva – porta la Commissione ad acquisire ed esaminare provvedimenti giudiziari, ad interloquire con autorità giudiziarie e con soggetti che assumono veste di parti processuali, nella prospettiva di ricostruire l’esistenza e la natura di fenomeni illeciti, del rischio dell’emergenza di tali fenomeni o della loro strutturazione su alcuni territori o in alcuni settori tematici.

Il contesto normativo generale è decisivo per le valutazioni della Commissione, che ha modo di raccogliere, incidentalmente, le osservazioni circa l’efficacia degli strumenti offerti dalle norme, nella cui esclusiva soggezione agisce la giurisdizione e con il cui rispetto si confrontano quotidianamente i cittadini, i loro soggetti esponenziali, le imprese, i pubblici amministratori. Ad esito di un lungo e complesso lavoro parlamentare, la legge 22 maggio 2015, n. 68 (“Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”) ha attuato il riconoscimento, all’interno del Codice penale, dell’ambiente come bene tutelato, sul presupposto della sua rilevanza costituzionale, ridisegnandone il complessivo sistema di tutela. Nel corso dell’attività della Commissione, sin dall’entrata in vigore della legge, si è percepita la grande attenzione alla sua concreta applicazione da parte di tutti gli interessati, così da suggerire l’avvio di un’interlocuzione con gli uffici giudiziari per ampliare la raccolta di quelle informazioni che venivano fornite in occasione di singole audizioni o missioni. Pur agendo in forme semplici e con approccio libero – senza dunque la sistematicità e copertura totale posta in campo nel medesimo ambito, con proprie raccolte di dati, da altri soggetti istituzionali – la risposta degli uffici giudiziari è stata ampia e ha consentito, ai fini di interesse della Commissione, di fotografare lo 2017 – Commission” 105 – 6 stato di attuazione della legge e le criticità applicative, in una finestra temporale significativa. Sono pervenute, tra l’aprile e l’ottobre 2016, relazioni e note degli uffici giudiziari nelle quali si esaminano aspetti interpretativi e organizzativi, si segnalano criticità, si forniscono dati; è stata altresì trasmessa documentazione, e in particolare direttive e provvedimenti giudiziari. Rinviando considerazioni analitiche alla citazione del lavoro svolto dal Servizio per il controllo parlamentare della Camera dei deputati e ai commenti allo stesso nella prospettiva della presente relazione, si può affermare, in termini generali, che da parte di una pluralità di uffici giudiziari è emerso il desiderio di interloquire con il Parlamento, in una visione dinamica della legislazione che tiene insieme la produzione delle norme in sede parlamentare e la loro applicazione in sede giurisdizionale.

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“L’anima nera di Donald Trump”, il documentario patrocinato da “A Mano Disarmata”

“The Nazi Hustle: L’anima nera di Donald Trump” è il documentario di Riccardo Valsecchi che affronta in modo circostanziato l’oscura ipoteca neonazista sulle elezioni presidenziali americane che hanno visto trionfare Donald Trump, che può contare sull’imbarazzante appoggio di David Dukeleader dei neonazisti americani. Ex Gran Maestro del Ku Klux Klan, antisemita e negazionista convinto sostenitore della supremazia bianca, Duke ha trascorso tre anni in Italia per riunire l’estrema destra europea. È ricomparso sulla scena come candidato al Senato ed è convinto sostenitore di Trump.

Attraverso preziose testimonianze di esperti internazionali, membri della polizia e attivisti neonazisti, l’autore fornisce una chiara testimonianza del ruolo di David Duke nell’istigazione di azioni criminali a sfondo razzista. Dal documentario emerge un sottobosco di connessioni politiche e attività illegali che hanno sostenuto Duke durante la sua permanenza in Europa. Tra questi: ufficiali dell’esercito italiano, politici e parlamentari europei, esponenti di gruppi come Hezbollah e il World National Conservative Movement.

Associazione, quest’ultima, che riunisce tutti i gruppi di estrema destra occidentali con la terrificante strategia di creare un impero mediatico online attraverso il quale diffondere paura, odio razziale e controinformazione di natura complottistica volta a creare un clima di sfiducia nella democrazia e ad identificare nella causa antisemita la soluzione a tutti i mali.